giovedì 31 dicembre 2020

Bilancio di fine stagione 2020.

 




Una stagione anomala, tante corse saltate o annullate per i ben noti motivi legati alla pandemia e un ciclismo femminile che prima di diventare "grande" deve ancora (a distanza di anni) provare a diventare "ciclismo femminile", senza annoiare con inutili e ubriacanti statistiche e numeri proviamo a tracciare un bilancio di ciò che è stato il 2020.


   ELITÈ STRADA


Dominio straniero con le olandesi Van Der Breggen e Van Vleuten sugli scudi nelle corse più importanti del calendario (Freccia Vallone, Giro, Mondiali), la Longo Borghini resta l'unica italiana in grado di reggere le sorti del movimento tricolore; Soraya Paladin giovane e futuribile se saprà ritagliarsi un ruolo più importante senza "bruciarsi" con compiti di gregariato che alla lunga fanno perdere lo "smalto" e le motivazioni che servono per puntare ai grossi traguardi, il talento c'è, la speranza è quella di non vederlo sprecato nonostante davanti a lei ci sia il "totem" Marianne Vos.


                                           JUNIOR E UNDER STRADA


Movimento giovanile sempre al top grazie al lavoro del sempre ottimo Salvoldi che nonostante le ristrettezze economiche riesce sempre a portare a casa risultati di rilievo e che anche quest'anno non ha tradito le attese con l'oro di Elisa Balsamo  agli europei di Plouay, il piazzamento di Chiara Consonni (decima) e l'oro della Gasparrini tra le junior, tutte e tre da rivedere assieme alla già citata Paladin per capire se c'è margine per un ulteriore miglioramento. Troppo spesso assistiamo ad ottime performances delle nostre atlete junior e under che poi per vari motivi non riescono a riconfermarsi quando il livello della competizione si alza e si vede chi ha le motivazioni e la "cilindrata" per fare le grosse prestazioni e chi invece deve accontentarsi di restare nel limbo.


                                                          PISTA


Vale lo stesso discorso già fatto per le Junior/under del settore strada, il movimento tiene "botta" e nonostante le carenza economiche e strutturali imbarazzanti se paragonate a quelle del Regno Unito ma non solo, l'Italia esce dalla rassegna mondiale elitè con il bronzo di Miriam Vece nei 500 mt, l'argento della Paternoster nell'omnium e il bronzo di Paternoster e Balsamo nell'americana mentre continua ad essere latitante nel settore velocità dove altre atlete (le tedesche su tutte) hanno preso il posto dei due mostri sacri Anna Meares e Vicky Pendleton. Bilancio comunque positivo se paragonato a ciò che era il settore femminile "pista" prima degli ori di Antonella Bellutti ad Atlanta e Sidney. I campionati europei hanno regalato all'Italia un ricco bottino di medaglie con l'oro di Martina Fidanza nello scratch, quello di Elisa Balsamo nell'omnium e di Elisa Balsamo e Vittoria Guazzini nell'americana, gli argenti del quartetto dell'inseguimento a squadre, dell'eliminazione, della corsa a punti, dell'inseguimento individuale (con record italiano) e i bronzi dell'eterna Silvia Valsecchi e della Vece rispettivamente nell'inseguimento individuale e nei 500 mt. Una volta di più: risultati davvero buoni se consideriamo che in Italia tolto il velodromo di Montichiari siamo ancora all'anno zero dopo il crollo del Palasport di Milano nel 1985.


                                                Giro rosa, le dolenti note



Parliamo di ciò che non ha funzionato partendo dalla prima tappa in linea vinta dalla Van Vleuten: se sterrato deve essere, che sia almeno "battuto", "preparato" a dovere, vedere le atlete in salita su un tratto di strada pieno di solchi degni di una gara di motocross (per non parlare delle pietre) non è stato un bello spot per il ciclismo femminile, oltre a ciò abbiamo avuto un trasferimento "fiume" di 12 km per arrivare al km zero, un arrivo spostato con le squadre avvertite solo la sera prima a causa di una frana, strade "crazy and dangerous" come ha detto la Van Vleuten su Twitter, parcheggi riservati alle squadre con vetri e immondizia e la rituale mancanza della diretta tv figlia anche del lassismo degli appassionati che da sempre (senza parlare del 2020 e delle restrizioni imposte dal Covid-19), hanno snobbato e continuano a snobbare il ciclismo femminile preferendo fare decine se non centinaia di km per veder passare il Giro d'Italia maschile. Non stupisce quindi il fatto che dal prossimo anno non farà parte delle corse di categoria "World Tour".

Gli organizzatori (e una parte del movimento, quello nostrano nella fattispecie) devono capire una volta di più che nulla è più dovuto: per anni si sono pretesi gli sponsors munifici, i big money, le tv, gli spettatori a bordo strada (senza la benchè minima voglia di promuovere gli eventi)e  senza dare nulla in cambio, l'UCI sta lavorando per dare (finalmente) la dignità che il movimento merita, ci sono squadre "pro" maschili che hanno anche teams femminili, le atlete di vertice sono di alto livello (non che prima non ce ne fossero anzi, non è il caso di fare nomi), chi regge le fila del circo rosa deve adeguarsi, non siamo più nel 1985 e questo vale anche per chi le corse le segue e le fotografa: non basta (più) far vedere (solo) il lato "glamour" delle corse, serve anche segnalare eventuali "criticità" laddove ce ne siano.


Un ringraziamento a chi è arrivato fin qui, un buon 2021, sperando che si possa assistere a una stagione "spalmata" su 7-8 mesi come è sempre stato e che le gare nazionali possano tornare ad avere al via atlete di livello mondiale come a fine anni '90/primissimi anni 2000.



martedì 1 dicembre 2020

Perchè Di Rocco non è fuorigioco.

 



Pare che il non più lontano 2021 potrebbe rappresentare la fine dell’era ciclistica Di Rocco-Federciclo. Potrebbe, perché quando si gioca sulla scacchiera dei piani alti, nelle stanze dei bottoni, lo sport deve vedersela con la politica, gli interessi, le promesse, gli scambi di favore che diventano voto. La persona che settimane addietro, prima di tutti, si è presentata con la volontà di candidarsi per la presidenza e, sempre prima di tutti, ha iniziato a far conoscere le sue intenzioni nel caso di nomina è Silvio Martinello. Non stiamo a disquisire sulle possibilità dei candidati, sui perché si e perché no, sui pregi o sugli eventuali difetti. 

Quello che ha riscaldato l’ambiente nel periodo dedicato alla campagna elettoral-ciclistica è il clima abbastanza pepato che pian piano si è fatto strada. Dichiarazioni che da una parte all’altra si sono fatte strada anche in modo un po’ acido. Certamente non l’ideale, ma forse figlie di un qualcosa che non si veda l’ora che cambi, mentre vi è una controparte che di farsi da parte non ne ha una gran voglia, o quantomeno non ha una gran voglia che le cose cambino troppo. 

Due motivi per cui Di Rocco non è ancora fuori? Uno potrebbe essere che noi italiani abbiamo da sempre, per cultura, una paura dannata dei cambiamenti. Un’altra è che Di Rocco non viene soltanto da tre lustri da padrone di casa, ma da altrettanti nel dietro le quinte. In Federciclo vi sono persone che senza lui avrebbero dovuto trovarsi altro da fare la domenica. Quindi se da un lato vi è un candidato (Martinello) che sembra essere visto in maniera positiva, lo stesso dovrà vedersela con rappresentanti regionali o provinciali che a Di Rocco devono non poco.