venerdì 20 agosto 2021

“Amo la radio perché arriva dalla gente….”

 



Così canta il bravo Eugenio Finardi in una delle sue più note canzoni. Eh si, la radio ti fa tanta compagnia, tanto che da almeno tre lustri anche il ciclismo non sa rinunciarvi. E quando il regolamento ti dice; “Spiacenti signori, in questa corsa niente radio” allora capita di vedere situazioni di corsa che profumano di un vecchio ciclismo che, fino alla fine degli anni ‘90, faceva si che il ciclista doveva avere nel suo bagaglio professionale quella cosa nota come ‘visione di corsa’. 

Era una qualità che non tutti avevano. Che costringeva i corridori, i capitani in particolare, a tenere d’occhio la corsa, farla loro anche dal punto di vista della concentrazione. Situazione che obbligava il gregario a dover entrare nelle fughe ad ogni costo per far si che ci fosse un punto di riferimento per la sua squadra. Non bastava avere le gambe, no, dovevi ‘leggere’ un determinato momento di gara e non avevi il DS che mentre guidava ti dice anche chi delle altre formazioni si sta soffiando il naso e con che mano tiene il fazzoletto. Il corridore di alto livello doveva correre senza perdere mai il controllo della gara. 

Alle recenti Olimpiadi giapponesi è stata Annemiek Van Vleuten a regalarci questo momento di riflessione. Il suo credere di aver vinto non è una novità, dando adito ai più ad un mezzo sorriso, ma ci ha presentato l’esempio di come all’atleta d’oggi, per quanto di altissimo livello, manchi l’abitudine (e l’insegnamento da chi di dovere) a seguire la corsa fin dall’inizio con la più alta concentrazione.